Anche io errando ho compreso. Fallendo ho trovato le parole. Ho fatto un passo indietro e, in questa condizione di esile evidenza, mistero e bellezza, posso raccontarvi, ora, della nascita e del mutevole andare, posso narrare di una ‘storia d’amore’ che contiene e conserva il segreto del nome proprio ed appare nella sua dimensione inequivocabile di corpo e pelle.
Gli ‘Organismi Artistici Comunicanti’ di Sergio Mario Illuminato sorgono alla vita in una relazione di dichiarata reciprocità che assume le sembianze di un processo di reiterato antagonismo.
È un dialogo accorato, uno scontro senza difese, una danza inerme: tra l’artista e il prolungamento del suo braccio, derivazione essenziale della sua consistenza, continuum tra l’essere umana fattura e il mondo, un tessuto di visioni, respiri, desideri.
Nel momento dell’origine, nell’emettere il primo vagito, ogni pigmento, ogni piccola porzione di materia subisce la biologica esistenza, aggiunta e sottratta dalla fortezza creatrice di chi l’ha da sempre pensata, voluta, amata.
Ma in quel medesimo istante si erge dalla terra, scopre la sua innata autonomia, costringe il suo artefice alla resa. Non è una lotta impari e l’artista, prefigurando prossimi accadimenti, si ritrae, ammette la sua erranza, impasta il fallimento con i colori, con i filamenti, con le sostanze, incapace di sfuggire a quello che ha sempre saputo.
Ogni elemento diventa corpo, pelle, organo: in lui tutto si deteriora, tutto decade, tutto si decompone, tutto si ricostruisce e si rigenera, tutto si rinnova al passaggio del sole e della polvere, del vento e delle piogge, della stessa aria nella sua composizione di azoto, ossigeno, argon, anidride carbonica e di quegli altri microscopici elementi che assumono la conformazione di mari, di territori, delle attività molteplici sulla superficie.
Ogni Organismo riconosce la sua qualità costitutiva, un ‘Tessuto-Trama-Cosmica’ che respira la fragile essenza di quanto realizza: scopre di essere dispositivo culturale dell’essere natura, meccanismo di comunicazione con chiunque voglia sfiorarlo, osservarlo, toccarlo.
Si metamorfizza in luogo di verità e si avvicina al sottomondo del sublime, dell’eterno spirito che sottende le ere. Spogliato dalla semplice valenza estetica, prende coscienza della sua intima solitudine sopprimendo le distanze, giungendo ai silenzi e alle narrazioni, facendo spazio a tutto quello che non è sé, che da lui si distingue.
Diventa sogno del comune e traccia futuri possibili, ri-creando, ri-parando, ri-nascendo, emergendo dal presente, dall’hic et nunc, in una disperata volontà che illumina la nostra miseria.
Gli ‘Organismi Artistici Comunicanti’ ci obbligano a guardare, pur sussurrando la nostra effimera libertà: impongono di tornare alla memoria, alle rovine delle nostre anime piccole, contenendo dentro i disperati tempi delle nostre vite e delle nostre labili comunità.
Svelano l’amore-l’amare-l’amato di ogni singola fase del divenire, e parlano delle realtà friabili, vulnerabili che esperiamo in un ciclo continuativo di inizio e fine.
In ogni loro manifesta presenza, lasciano ad immagini altre, ad altre figure, azioni, voci; si radicano nello spazio, si permeano di esso, si conformano ai paesaggi, ne catturano le impronte, li congelano solo per un attimo in momenti sicuri, restituendone poi le impreviste trasformazioni, raffigurazioni, rappresentazioni.
E noi, spett-attori, co-creatori con l’opera e con l’artista, diveniamo parte dello stesso gioco di forze, e nello scambio simbiotico di pelle, interfaccia interattiva di tensioni e percezioni, torniamo a quel giorno dimenticato quando, muovendo i primi passi, ogni caduta è ritrovamento di nuove conoscenze e inedite conquiste.
Re-impariamo a vedere, a sentire, a tendere, a intrecciare, a portare parole, estranee e incommensurabili, lontane dall’essere perfettibili: permangono e si perpetuano, senza timore di essere domande d’amore.