Siamo tutti studenti. Anche chi è ormai professore, se prende sul serio la propria condizione e il proprio ruolo, è uno studente. Non si finisce mai di imparare e non ci si può mai accontentare di quel poco o quel tanto che si sa o si crede di sapere.
Per questo mi sono permesso d’intitolare questa mia riflessione sull’opera di Sergio Mario Illuminato in questo modo solo in apparenza provocatorio.
Tecnicamente, Sergio Mario Illuminato è stato un mio studente, ma i miei studenti sono i miei docenti perché da loro imparo a capire come è meglio fare per raccontare quel poco che so. Non insegnare, raccontare. Poco o nulla si può insegnare e Socrate lo ha spiegato a tutti perché per sapere qualcosa, qualunque cosa, bisogna guardarsi dentro e cercare lì quel che ci sembra di vedere fuori di noi. Se non lo dovessimo trovare, non saremo mai in grado d’impararlo.
Sant’Agostino lo ha scritto a chiare lettere nel De vera religione: Noli foras ire, in teipsum redi, in interiore homine habitat Veritas (XXXIX). Così, impariamo l’uno dall’altro a guardarci dentro.
Sergio Mario Illuminato, che non sembra avere un cognome casuale (nomen omen, ossia «un nome un destino»), ha interpretato questa massima facendola diventare un metodo di lettura di noi stessi e della realtà, nonché un movimento d’arte perché, guardandoci dentro non possiamo fare a meno di constatare che siamo fragili.
Ha cominciato con la tesi di laurea, intitolata Corpus et Vulnus e poi ha continuato con mostre e iniziative varie, sempre nel solco di Duchamp, come Vulnerar(t)e che è il percorso mai chiuso né da chiudere perché corrisponde alla vita.
L’ultima iniziativa in ordine di tempo è stata presso l’ex Carcere Pontificio di Velletri – un luogo di oltre mille metri quadri costruito nel 1861 dalla famiglia Romani ma oggi abbandonato – messa in opera da un gruppo di studenti, tecnici di pittura e scultura dell’Accademia di Belle Arti di Roma, nonché da docenti, professionisti della fotografia, del cinema, della danza e della musica. Ne è nato il progetto transdiscipinare ‘iosonovulnerabile’ che fin dal titolo ha il doppio valore di riferimento al complesso architettonico e a tutti gli operatori che lo toglieranno dall’oblio aggiungendo la loro fragilità alla sua. Infatti, il frammento, la memoria, la sinestesia, il doppio territorio esteriore e interiore, la metamorfosi e l’alchimia, sono gli ingredienti dell’arte di Sergio Mario Illuminato il quale, come un novello Viandante sul mare di nebbia sosta al limite della propria anima per trasformare la realtà circostante nella materia incandescente delle sue tele.
Marco Bussagli, scrittore, critico d’arte e professore all’Accademia di Belle Arti di Roma