2024 – C’è un luogo sacro nell’arte: l’Atelier; dove vivo la mia produzione intellettuale e creativa, dove ogni mia vulnerabilità viene messa a nudo, dove apprendo il mio lavoro di alchimista della materia viva. È in questa cattedrale intima che mi separo dal rumore del quotidiano ed espando le voci del tempo da cui voglio farmi raggiungere, per abbracciare l’autenticità e la bellezza di come voglio vedere il mondo. Qui la verità della mia esperienza umana non deve più essere tradotta da parole ma basta uno sguardo. Non permetto a tutti di varcare la soglia del mio atelier solo perché non molti sono disponibili a rubare l’anima della mia ispirazione, del mio apprendimento della verità di vita a cui voglio aderire e la genesi delle mie rivoluzioni. È qui, nell’atelier che permetto a me stesso di scoprire le crepe, i cunicoli, i sotterranei di questo mio continuo lavorio intellettuale e spirituale che poi nei luoghi delle esposizioni dei miei dispositivi sembra diventare una visione artistica reale e unitaria. È difficile disvelare a chi non li ha frequentati la potenza che ingabbia un atelier, la debordante varietà di materiali che custodiscono.
Al tempo dei miei studi in Accademia ho ritrovato la famiglia a cui appartengo ripercorrendo la storia dell’arte che è la storia degli atelier nei secoli. Basta sfogliare i titoli dei libri ammucchiati nel mio laboratorio per scoprire che andando a ritroso fino alle radici dei greci e dei romani ho vissuto la mimesi discussa da Aristotele e l’idea suprema della bellezza di Platone. Il concetto di di-segno di giganti nel Rinascimento come Raffaello, Leonardo da Vinci e Michelangelo e l’idea emergente di genio riferito all’artista non solo come artigiano, ma anche filosofo e uomo di scienza. Ho toccato con mano nel barocco come la protezione di potenti famiglie e regnanti ha con-fuso l’espressione artistica e il potere, fino alla modernità dove gli atelier diventano luoghi di sperimentazione e ribellione facendo emergere filosofi capaci di influenzare la pratica artistica con concetti come l’esperienza soggettiva della realtà, il sublime…continuando con le avanguardie in questa esperienza di stupore e di terrore riguardo la verità personale.
I titoli negli scaffali dell’atelier sono tanti ed eterogenei della materia sociale, culturale, politica, scientifica e quant’altro hanno condotto l’umanità dove oggi mi ritrovo. Ma lo spazio più rilevante nel mio cuore è riservato all’Informale e ai protagonisti che hanno eretto l’anfiteatro in cui il mio cielo è vicino ma senza ancora aver raggiunto quello di giganti contemporanei come Kiefer e Parmiggiani.
Se ai libri aggiungiamo i frammenti collezionati di oggetti, strumenti e materia senza ragione ci si sente come sul set di un distopico film di fantascienza dove l’uomo è andato via e l’apocalisse ha lasciato solo la fabbrica delle sue idee.
Giocare nell’Atelier ti permette di frugare nello spirito ri-creativo dell’artista e capire dalle tracce mnestiche depositate che l’ora-zero per l’arte, per vivere un’esperienza di esistenza non esiste.
Non avevo altra possibilità che riportare la fruizione dell’arte al suo rifugio per raccontare il disagio e la sofferenza che sto vivendo nel vedere la creatività contemporanea che fatica a riprendere la sua funzione sociale in un tempo senza spessore in cui ingiustizie e sbandamenti portano molti a vivere ai margini, osservando da lontano lo scompiglio del mondo.
Ho cercato di riaccendere contro la rimozione operata dalla casta degli artisti e del sistema dei nostri giorni, il fuoco che ancora è acceso al centro dell’atelier per raccontare la forza e l’energia vitale compressa nella distruzione creativa delle delocalizzazioni individuate da Parmiggiani nella sua infanzia. Nel nichilismo mitologico degli oscuri spazi ipogei di Kiefer.
Nella sala museale al piano terra di Villa Altieri ho innestato la rovina degli Organismi Artistici Comunicanti, nella loro disposizione più intima, in prossimità di alcune memorie statuarie di età antica e moderna del XVI e del XVII secolo e un piccolo Lapidario, accompagnati da una profusione di indizi e ogni strumento essenziale e propedeutico del mio processo creativo e di quello degli artisti transdisciplinari complici di questa esperienza.
Lasciati un po’ ovunque sopra il pavimento vetrato della Loggia attraverso cui è possibile vedere l’antica pavimentazione in acciottolato della Villa e i resti di alcune stratificazioni archeologiche emerse durante i lavori di restauro, troviamo libri, fotogrammi cinematografici, foto, movimenti di danza, suoni, un bric-à-brac di oggetti che spogliano l’ambiguità dell’arte del verso contro chi vuole allontanare la comprensione comune di sentimenti e sensibilità per certificare il proprio status elitario di artista ed aumentare il valore di scambio ed uso di dispositivi che hanno spento il potere trasformativo dell’arte e la sua capacità di ispirare cambiamento e crescita personale.
Così semplicemente un ciclo elicoidale del processo creativo viene portato agli spett-attori nell’Atelier di Villa Altieri a Roma per cercare di preservare l’autenticità dell’arte e promuovere la connessione emotiva tra individui e le proprie cattedrali di vulnerabilità.