Roma, il Cinema ed Io… (appunti di lavoro)
a cura di Sergio Illuminato, edito nel 1993 dal Quotidiano Paese Sera
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MARIO MONICELLI, regista
Vivere a Roma significa stare nel cuore dell’industria cinematografica italiana. La città di Roma, già dal dopoguerra, ha avuto un ruolo fondamentale per l’esplosione filmica in Italia. Tutta la grande stagione produttiva del “neorealismo”, per esempio, con Rossellini, De Sica, nasce a Roma, così come le principali strutture ed i maggiori protagonisti del settore sono a tutt’oggi concentrati nella Capitale.
Fin da quando ho cominciato a girare, nel ’43 quindi, l’attività del “cinematografo” era di fatto collocata, anche con le sue storie e i suoi personaggi nella città, e il rapporto con la città e con la gente era molto stretto; poi c’è da considerare che in quel periodo il cinematografo era il principale momento di aggregazione sociale e creativa: si andava tutti al cinema, ed il cinema rappresentava l’unico grande mezzo di massa capace di comunicare con la gente e di esprimere tutto quello che la stessa gente voleva esprimere.
Poi le cose sono andate mutando, sono intervenuti altri mezzi di comunicazione di massa come la televisione e tutti i suoi derivati comprese le videocamere, cd anche il cinema ha cominciato a diffondersi a livello amatoriale, tutti ormai sono in grado di tenere in mano una cinepresa, sia pure a passo ridotto a tutto ciò va aggiunta parallelamente la diversa fisionomia assunta dalla “fauna” di Roma, girare oggi “Guardie e ladri” o “I soliti ignoti” non avrebbe più senso. Quel modello di piccoli truffatori, di povera gente, di emarginati che nella loro esplicita modestia e semplicità arrivavano finan’anche a suscitare tenerezza e simpatia, non lo si può certo ritrovare nell’attuale panorama romano; e per finire la corruzione imperante nei palazzi del potere non è dovuta solo alla minoranza dei romani che ne fanno parte. Comunque, per quanto riguarda il cinema, esiste da sempre e rappresenta una costante il disinteresse delle istituzioni capitoline verso l’unica industria che in questa città funzioni a livello internazionale. Si lavora molto meglio ovunque, a Mantova, a Napoli, ma non a Roma. La città, il comune, il municipio non dà nessuno aiuto, anzi cercano di ostacolarti, e poi bisogna pagare continuamente il suolo pubblico, oppure distribuire mazzette a destra e a sinistra per ottenere certe facilitazioni, altrimenti si è addirittura ostacolati, tutte cose che non avvengono nelle altre città; ragione per cui la maggior parte delle produzioni preferisce girare fuori Roma, maggiorando così i costi per mantenere una troupe, in media di cinquanta, sessanta persone, a loro spese in trasferta. Questo problema diventa fondamentale per un regista come me che preferisce girare spesso in esterni alla ricerca di cose vere, in esterni non sono libero di girare quello che mi pare, vengo obbligato dalle cose inamovibili a lavorare adattandomi a quello che è il dato scenografico, quello vero, esistente.
A Cinecittà è tutto costruito dallo scenografo, e da me, ci inventiamo tutto quello che ci pare, buttiamo giù le pareti, alziamo i tetti, lavorare diventa troppo semplice, facile, meno stimolante. Insomma, preferisco avere una necessità, qualche cosa che mi obblighi a far lavorare il cervello di più.
Ho conosciuto Cinecittà da quando è stata costruita. Era il periodo del passaggio dalla vecchia Cines, comodamente ubicata a San Giovanni, all’enorme complesso fatto di capannoni sistemati in un luogo senza un albero, lontanissimo da Roma che bisognava raggiungere attraversando la campagna con un precarissimo tram scassato.
L’influenza della città, come accennavo all’inizio, ha da sempre condizionato bene o male tutta l’attività produttiva e creativa con le sue abitudini, la sua mentalità e le sue tradizioni, influenze non di certo negative visto che, storicamente, la città è sempre stata al centro di vastissimi movimenti culturali ed ideologici internazionali, a partire dalle lotte con il papato, alla presenza degli imperatori tedeschi o francesi.
Tra l’altro Roma è sempre stata sede di importanti manifestazioni; accoglie continuamente flussi di gente provenienti da tutte le parti del mondo ed un tale movimento la rende il luogo meno isolato culturalmente d’Italia.
Io stesso avverto nel mio lavoro la spinta non indifferente che mi procura la città, facendomi conoscere gente sempre nuova, attraverso incontri e interessi complessi che ti fanno riconoscere l’identità della Capitale d’Italia che le appartiene da duemila anni, una identità, non c’è nulla da fare, affascinante, prestigiosa, amorale forse, ma solo perché a Roma non frega niente di essere morale e immorale, la capitale è la capitale e basta. Al limite è immorale a causa dei non romani, poiché il romano vero è né più né meno morale degli altri, avendo avuto sempre qui la sede del papato, ha acquisito un’assuefazione a certi emblemi, riti religiosi che agli altri infondono più rispetto; ecco c’è una sorta di sottostima di certe rappresentazioni.
A parte questo il romano è un cittadino uguale a tanti altri, forse un po’ più aperto, meno moralista di come potrebbe essere un piemontese o un lucano. A Roma e ai romani mi sentirei di aggiudicare una irresistibile capacità di attrarre quanti sentono di possedere una spinta interiore a dire, a esprimere qualcosa di nuovo, poetico e non, tutte le forze che hanno qualcosa da esprimere di nuovo prima o poi finiscono qui.
In questa Roma seducente per anni ci siamo frequentati, registi, autori, sceneggiatori, per conversare, viaggiare e divertirci insieme e non solo per motivi di lavoro, ormai la mia generazione è quasi sul finire, molti sono morti, molti di noi sono invecchiati, la mobilità è diminuita per cui ci si frequenta meno. Quello che io raccomanderei alla generazione ultima è di vivere insieme, di frequentarsi, di essere amici, di lavorare insieme, perché secondo me è questo che arricchisce molto e stempera odii, gelosie ed incomprensioni.
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