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KOUROS
Progetto “Kouros” curato da Sergio Mario Illuminato
Installazione Site Specific realizzata per la mostra “—“ curata da Maria Teresa Padula (Docente Decorazione Accademia di Belle Arti), giugno, 2021 presso la Fondazione Besso di Roma
Il dispositivo nasce dall’assemblaggio in tensione delle parti di una rete metallica e un telaio in legno recuperati come rifiuti.
Ogni linea retta, curva, ondulata di ciascuna maglia della rete è tesa, perché incontra resistenza, perché cerca di aprirsi un varco, lotta contro un attrito o si trova faccia a faccia con la necessità, senza la quale il mondo fisico non può esistere.
La forma e le dimensioni del telaio – insieme alla rete – cercano di riemergere dal silenzio solitamente imposto dal protagonismo della superfice della tela che in questa creazione ribalta l’attività pittorica e permette all’ignoto di prendere corpo visivo. Mentre alla tela di regredire nella retrovia.
Il telaio potrà finalmente svelarsi, prima denudandosi con la propria nerezza e oscurità del legno carbonizzato, affinché – anche dopo le quantità di colore adagiate sulla sua superficie – emergano ancora le tracce invisibili di ciò che è stato vissuto. Oltrepassando i limiti e gli orizzonti della materia fisica, l’installazione vorrebbe proiettare i fruitori verso universi emotivi.
La tela fissata successivamente al telaio e alla gabbia è costretta – vista la sua trasbordante dimensione rispetto al telaio – a diverse piegature per contenersi in quelle misure ridotte. Solo un lembo centrale riesce ad aprire un varco da una delle maglie centrali.
Nel cammino di questo esercizio artistico si produce una seconda vita culturale ai materiali riciclati.
Manufatto nato per essere altro d’uso quotidiano (letto-telaio), in questo stadio ri-creato svela una doppia immagine (fronte-retro), ognuna delle quali efficace per mostrare ciò che si sta vedendo come cambiamento sociale, morale, in tempo di pandemia. Da questo seconda vita inizia il ciclo autonomo dell’arte che va molto al di là del pensiero dell’artista.
Per questo il dispositivo “No Mai”, al fine di fare ancora un passo di fianco al senso e al significato dato all’opera all’interno di un mio recinto programmatico, scende dalla parete e deve percorrere la seconda tappa di ri-creazione, immerso nella sua nuova vita aperta al movimento e all’imprevisto. Viandante per strada, alla “deriva senza una meta” ri-flette spazi pubblici e trasformazioni urbane degradate. È l’occasione per occupare aree periferiche inusuali fuori dagli spazi musealizzati-istituzionali.
Le incrostazioni o la patina autentica o falsa, tutto, nell’atmosfera della strada ne segnerà ancora una volta il corpo di metallo-legno-stoffa. In questa metamorfosi tra arte e vita, nell’alternarsi di osservazioni/azioni dei passanti, forse di amore, talvolta di spregio o di indifferenza, la stessa installazione riprenderà il ciclo perenne di erosione e di usura della materia e del colore che muteranno ancora come il tempo sempre ci muta.
Da questa esperienza, il dispositivo viene recuperato in officina, come forma viva in continuo sviluppo.
La terza tappa riguarda la parte posteriore del quadro. Lì dove la tela è stata piegata e compressa, vengono ripresi i segni e le forme trasferiti per stampo su una diversa tela. Ed ecco che sembrano formarsi alcuni elementi Pathosformel.
Le stesse forme vengono incorporate plasticamente da una miscela di cemento e terre/ossidi naturali che vengono gittati sulla tela compressa e lasciate asciugare seguendo delle tecniche edilizie.
Il corpo unico, compatto realizzato nella quarta tappa di questo processo, percorrendo all’inverso lo stadio dello specchio di lacaniana memoria, viene frantumato per essere retrocesso a frammenti da ri-tradurre nella totalità dei corpi recuperati su una nuova tela.
Sulla forma cementata viene impressa una texture di ferro dorato che si sottopone ad una serie di ossidazioni nel tempo.
Infine con l’integrazione dello specchio convesso, cederà alla tradizione della pittura ad olio. Per giungere alla “struttura strutturante” del secondo dispositivo “Natura viva”, generato dal primo.
L’uno che genera l’altro per retrocedere dalla cultura alla natura.
Ora che tutto è possibile, nell’incessante condensazione di fare e disfare mai risolto, è il primo dispositivo che avverte dopo la creazione di “Natura Viva” la necessità di ri-creare la tela bianca non-tirata e appesa alla parete, quale massima purezza. Il di-segno monocronico sottratto alla materia del colore, alla stratificazione di tracce di saperi e tecniche, di teorie e prassi.
Gli effetti del tempo devono essere annullati dall’azione del restauro e l’unica interpretazione è ciò che appare fatto. La sua verità varrebbe esclusivamente come duplicazione di una verità senza alcun ornamento che non sia sé stessa. Trattenuta da una rete – nella necessità di contenere passato, presente e futuro basati su leggi eterne e immutabili – la tela reificata, nel non più essere che evidenza del confine, contorno, orlo, margine, estremità di superficie retinica, torna all’essenziale contrasto luce e oscurità, torna alla percezione generatrice di-segno primordiale di chi vuol farsi interprete.
I materiali originariamente organici alla natura, poi disgregati dall’uomo per funzione, vengono ora aiutati a rifondersi tra loro.
E non senza significato assumere il corpo di Kouros, idealmente privo di azioni e di attributi simbolici culturali.